Alex McLeish!

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Alex McLeish, manager scozzese allievo di Ferguson (fece parte dell’Aberdeen dei miracoli: la sua partnership con Miller e Leighton formò uno dei più formidabili triangoli arretrati della storia del calcio scozzese; inoltre, la leggenda dice che fu proprio sir Alex a convincerlo a intraprendere la carriera manageriale dopo la fine di quella agonistica), è il nuovo manager del Forest.

Le sue precedenti esperienze lo hanno portato sulle panchine di Motherwell (portato dalla seconda alla prima divisione scozzese) e Hibernian (anche questo club portato alla promozione in Prima Divisione), ai suoi esordi; poi, il suo periodo più ricco di successi, quello ai Rangers, dal 2001 al 2006: alla guida dei Gers conquistò due campionati e cinque coppe di Scozia. Alla guida dei Rangers fu, inoltre, il primo allenatore a ottenere la promozione agli ottavi di finale di Champions’ League, nella nuova formula.

Nel 2007 prese le redini della Nazionale scozzese, per guidarla alla conclusione del girone di qualificazione agli Europei, con buoni risultati: dopo aver sconfitto Faroe e Lituania, arrivò per i Blues una clamorosa vittoria in Francia e un’ottima vittoria interna contro l’Ucraina; questi risultati furono in parte vanificati da una sconfitta in Georgia, che lasciò, come unica porta aperta per la qualificazione, quella di una vittoria nell’ultima partita contro l’Italia campione del mondo. Arrivò, invece, una sconfitta, e con questa le dimissioni di McLeish.

Dopo quella internazionale, si aprì la pagina inglese: Birmingham City, dal dicembre 2007, con il quale, nonostante un buon campionato, non riuscì a mantenere il posto in PL; l’anno successivo riuscì, però, a tornare nella massima serie e l’anno dopo ancora, nel campionato 2009-10, stabilì un record per i Blu del St Andrew’s, guidandoli a una serie di dodici partite senza sconfitte e ottenendo, primo allenatore del Birmingham City della storia, il premio di Manager of the Month per il dicembre 2009. Il City si piazzò nono in campionato, il più alto piazzamento per i Blu da cinquant’anni.

Nel febbraio del 2011 vinse, sempre con il City, la Coppa di Lega battendo l’Arsenal nella finale di Wembley per quello che il manager di Glasgow considera il suo trofeo più prestigioso.

I problemi finanziari e di spogliatoio che cominciarono a colpire il Birmingham, però, li portò, nello stesso anno, a una nuova retrocessione in Championship, e, nonostante il rinnovo del contratto che gli era stato garantito l’anno prima e la conferma della fiducia da parte del Board, McLeish decise di lasciare i Blues per approdare ai loro più acerrimi nemici, l’Aston Villa. McLeish varcò il Rea tra infinite polemiche, di tipo legale e di tipo ambientale (i tifosi del Villa protestarono vivacemente dopo il suo ingaggio, e non impararono mai a apprezzarlo, anche perché i risultati della sua gestione furono molto deludenti). Portò in blue-claret Given, N’Zongbia e Robbie Keane, ma la sua stagione fu quasi disastrosa; sia come risultati: 16°, a due punti dalla relegazione, con il peggiore record casalingo della storia dei Villans, segnato da sole quattro vittorie; sia come gioco, a detta di tutti coloro che hanno seguito l’AVFC in quella stagione veramente orrendo. Fu, dunque, esonerato alla fine della stagione 2011-12, e è stato fermo fino all’ingaggio del Forest.

Nonostante il fatto che la sua fama e la sua carriera, per i meno accorti conoscitori del calcio britannico, siano pesantemente segnate dalla stagione passata sulla panchina blue-clarets, il giudizio della carriera manageriale di McLeish, dunque, non può essere giudicato negativo. Ha condotto tutte le squadre che ha allenato, sia la Nazionale scozzese, sia i club, a buoni quando non storici traguardi; ha mostrato una certa capacità nello scegliere giocatori e nel gestire gli spogliatoi, anche in situazioni difficili; ha sempre dato alle sue squadre un gioco solido, anche se certo improntato a un deciso difensivismo e a assoluta mancanza di spettacolarità. Dimentichiamoci, dunque, i tentativi di gioco aperto e palla a terra che SOD ha cercato di dare al Forest sin dal suo arrivo a metà della scorsa stagione, e prepariamoci a vedere un 451 rognoso, con due centrocampisti difensivi. Sarebbe potuto essere, secondo me, un ottimo manager per la nostra eventuale prima stagione in PL, ma ho seri dubbi sul fatto che, con il materiale umano e la situazione della squadra attuali, possa fare meglio di quanto non abbia fatto SOD. Naturalmente, spero tanto di sbagliarmi.

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Sean O’Driscoll esonerato!

Intanto, mi scuso se per una serie di influenze, impegni lavorativi e incombenze festive ho trascurato il blog in questo mese, ma mi riprometto di mettere in pari se non altro la cronaca delle partite nel prossimo mese di gennaio, per poi riprendere anche la pubblicazione di articoli di tipo storico e divulgativo. Ora, mi preme intervenire per un’ultima ora clamorosa.

Pare incredibile, ma appena dopo la brillante vittoria dei Reds sul Leeds United, con la squadra a un punto dalla zona play-off, il nuovo presidente della Squadra, Fawaz Al Hasawi, ha deciso di esonerare il tecnico della squadra, Sean O’Driscoll. Questo, dopo aver ripetuto fino alla nausea che l’obiettivo della PL era un obiettivo a lungo termine, e dopo aver ripetutamente confermato la fiducia a O’Driscoll, che fino a ora ha guidato la squadra a un campionato dignitosissimo.

Evidentemente, la nuova proprietà, ancor prima di aver guadagnato qualsiasi tipo di credibilità nei confronti dell’ambiente della Football League, o di affetto nei confronti della tifoseria e dei giocatori, vuole inserirsi di prepotenza nel gruppo di ricchi buffoni che sta rovinando il calcio inglese (per non dire il calcio europeo in generale).

Evidentemente (e sperabilmente) la proprietà ha già in mente un’altra guida per il Forest e per il mercato di gennaio, altrimenti avremmo a che fare non solo con dei pagliacci incompetenti, ma anche con dei completi psicopatici.

Ad ogni modo, se questa decisione è lo specchio di quella che sarà la politica di gestione del Club da parte della famiglia kuwaitiana, possiamo dire già da ora che non è certo di personaggi di questo tipo che il Forest aveva bisogno, miliardi o non miliardi, e difficilmente l’affezione dei tifosi nei confronti della maglia True Red potrà beneficiarne.

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FA Cup Third proper round tie.

Oggi è stato sorteggiato il terzo turno della FA Cup, quello in cui entrano in scena le squadre di prima e di seconda divisione. Il Forest giocherà in casa contro l’Oldham Athletic AFC, e la partita si disputerà nel week-end tra il 5 e il 6 di gennaio del 2013.

Il precedente più illustre tra le due squadre è, indubbiamente, la finale di FA Cup del 29 di aprile 1990, vinta dal Forest per 1-0 grazie a un gol di Jemson, un giocatore del 1969 di scuola Preston NE. Nigel Jemson fu una meteora tra i Reds, dal momento che giocò per noi solo un paio di stagioni. A dire il vero, Jemson fu una meteora quasi in ogni squadra in cui ha giocato, dal momento che vanta un singolare record: ha giocato, infatti, in 13 squadre della Football League e in una della Scottish League nella sua carriera; le due stagioni disputate al Forest, dunque, rappresentano quasi, per lui, un primato di fedeltà.

I punti più alti della carriera di Jemson furono due: il primo, naturalmente, il gol solitario che ci valse la Coppa di Lega del 1990, e il secondo la doppietta con la quale, tredici anni più tardi, eliminò l’Everton nel terzo turno della FA Cup del 2003 vestendo la maglia dello Shrewsbury Town.

Jemson, dopo l’avventurosa carriera di cui abbiamo accennato, gioca ancora nei dilettanti del HKDC Mobsters, dopo un’ultimo spezzone di carriera professionistica all’Halifax terminato nel 2008.

Non sono riuscito a trovare gli hi-lits della finale del 1990, per cui metto qui di seguito il servizio relativo a tutta la cavalcata vincente del Forest in quell’edizione della Coppia di Lega, sperando di far cosa gradita ai lettori.

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“The family guys”: Wolverhampton Wandereres 1-2 Nottingham Forest

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Ormai lo sanno anche i sassi, ma Sean O’Driscoll, nonostante le ovvie origini irlandesi, è nato nella Black Country, e è cresciuto calcisticamente (“born and bred”, ha detto lui al nostro Player) sugli spalti del Molineux Ground, facendo il tifo per i Wolves, squadra per la quale un sacco di suoi parenti sono tuttora abbonati. La vita porta via, in posti differenti, ha dichiarato, ma le cose con le quali sei cresciuto non cambiano mai: per questo, ha detto SOD, guardo sempre il risultato dei Wolves, per prima cosa, non appena posso. Tutti hanno il loro club preferito, e loro sono il mio. Per questo è particolarmente bello essere arrivato qui, a poter competere con loro.

Beh, questa volta il risultato dei Wolves Sean O’Driscoll non ha avuto bisogno di guardarlo sul televideo o su internet, e, romanticismo su romanticismo, grazie a un altro ragazzo per il quale quello di sabato è stato un giorno speciale, uno che al Molineux ha lasciato un bel po’ di ricordi, direi che è un grande risultato: otteniamo due vittorie di fila, il che, per noi, è sempre un’impresa titanica, e vinciamo a Wolverhampton, campo per noi difficilissimo in ogni stagione e in ogni epoca storica. È stata una partita aperta e combattuta, piena di occasioni da una parte e dall’altra, ma la nostra vittoria, fatto il conto delle occasioni e, soprattutto, degli equilibri del gioco, non è affatto demeritata.

Giorno uggioso da Black Country novembrina, bellissimo sempre il Molineux e il suo pubblico, all’inizio del servizio si vede benissimo O’ Driscoll che si gira verso la tribuna, cerca con lo sguardo qualche parente o qualche amico, e lo saluta con il pollice, felice come una pasqua. La squadra, rispetto alla partita precedente contro lo Sheffield Wed, è rivoluzionata, e questa è un po’ una novità, abituati come siamo a un certo conservatorismo. In difesa rientra Harding, che va a sinistra, esordisce il nostro nuovo acquisto, lo scozzese Hutton, che va a occupare la sua fascia destra, mentre in mezzo sono, loro sì, confermati Ward e Collins. A centrocampo giostrano il solito Gillett basso, Guedioura alto, mentre Cohen e Lansbury occupano i vertici laterali del rombo, essendo piuttosto acciaccato Reid. Davanti, inamovibile, la coppia formata da Cox e Sharp.

Camp

Hutton — Ward — Collins — Harding

Gillett

Cohen — Guedioura — Lansbury

Sharp — Blackstock

Gli Old Goldies partono in avanti: su un rilancio dalla linea di metà campo, Ward, una ventina di iarde fuori dall’area, sulla destra del loro schierament, anticipa in elevazione il capitano dei Lupi, Doyle, ma l’arbitro ravvisa un fallo che probabilmente c’è tutto. Batte Sako di interno sinistro verso la porta di Camp, ma chiude troppo il piede, e invece di un passaggio ne viene fuori un tiro che Camp controlla con grande facilità.

Giro palla dei Wolves sulla nostra trequarti, palla a Pennant in posizione centrale, Pennant cerca l’accelerazione verso la nostra area e viene contrastato piuttosto blandamente da Gillett e da Guedioura, che deviano la palla verso la nostra porta. Il più svelto a impossessarsene è Sigurdarson, un paio di iarde dentro il nostro box: non cerca nemmeno il controllo, ma tira di prima di collo destro trovando un diagonale imprendibile per Camp.

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La palla passa attraverso il filtro del nostro centrocampo, nell’occasione organizzato con maglie piuttosto larghe, e arriva a Sigurdarson: facile per l’Islandese, completamente smarcato nella nostra area, battere Camp di prima.

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La nostra reazione, però, è immediata. Ottima difesa di palla nella tre quarti avversaria da parte di Lansbury, Sharp e Guedioura, alla fine la palla arriva all’Algerino che da una quarantina di iarde prova un tiro che viene deviato in fallo di fondo, involontariamente, da Sharp. Guedioura si irrita un po’ con il compagno perché non è stato lesto a togliersi, ma è un rimprovero mosso un po’ alla cazzo, visto che Sharp era vicinissimo e il tiro era veramente violento. Ad ogni modo, consideriamo l’azione come un’ottima prova generale, e passiamo oltre.

Word stoppa bene un’avanzata di Sako fuori dalla nostra area e rilancia verso la metà campo, Guedioura la dà indietro a Lansbury, spostato sulla destra una trentina di iarde dentro la nostra area: a questo punto, lo spirito di Suarez, di Krol e di Platini messi insieme si impossessano dell’interno ex Arsenal, che, di prima, pennella un passaggio smarcante di sessanta metri per Sharp, prontamente scattato e pescato una ventina di metri fuori dall’area dei Lupi senza nessun avversario davanti: ottimo controllo di esterno destro, arriva fino al limite dell’area, evita il recupero di Johnson e batte in preciso diagonale Ikeme sul lato lungo. Davvero un lancio meraviglioso, di quelli che il calcio moderno, molto più basato sul possesso di palla e sul fraseggio fitto, offre sempre più raramente.

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Lansbury (il giocatore del Forest più vicino alla linea laterale nell’immagine superiore) lancia, e Sharp riceve. A Platini non sarebbe dispiaciuto avere in bacheca un passaggio così.

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Subito dopo, approfittando del colpo al fegato appena inferto, Cox cerca il KO infilandosi nell’area dei Wolves dalla sinistra e cercando il tiro a giro di interno destro sul palo lungo, fuori di un metro.

Abbiamo alzato la nostra pressione, e i Lupi si rendono pericolosi soprattutto in contropiede. impossessatosi di una nostra rimessa laterale vicino alla loro bandierina, il loro Ward, il terzino destro dei Goldies, riparte sulla fascia destra arrivando sulla nostra trequarti, e cerca con un passaggio diagonale l’inserimento di Sako, completamente smarcato dall’altra parte del campo. Sako arriva sul limite della nostra area, Gillett e Hutton cercano di chiudere su di lui; l’ala franco-maliana cerca il controllo di sinistro e tira di destro, un po’ affrettatamente, spedendo la palla alta sulla porta di Camp. Ancora un grave rischio corso dopo aver gettato via una rimessa laterale offensiva, una fase di gioco sulla quale si dovrà lavorare.

Uno-due molto bello tra Cox e Cohen, che lancia la nostra punta verso il vertice destro della loro area di rigore; Cox viene chiuso verso la linea di fondo dalla difesa dei Wolves ma riesce a girarsi benissimo e a girare dietro verso l’accorrente Sharp, che dalle dodici iarde, relativamente libero, arriva troppo sotto al pallone e tira clamorosamente alto.

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Ottima occasione, ma, probabilmente, Sharp non ha avuto lo spazio per coordinare meglio il tiro.

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Guedioura recupera in ottimo palleggio una bella palla sulla nostra trequarti, dopo una respinta di testa del nostro Ward su un cross del loro Ward: palla sulla sinistra per Cohen che cerca a sua volta il lancio da urlo di cinquanta metri per Sharp, lanciatosi verso la porta avversaria. Sharp riesce a controllare, controlla la situazione e da una iarda fuori dalla linea corta dell’area di rigore crossa in mezzo per Cox che trova l’impatto più o meno dal rigore ma spedisce alto anche lui. Come al solito, le nostre punte sono molto più efficaci in costruzione che in conclusione.

Altra azione in contropiede dei Wolves con un altro giro palla sulla trequarti che trova Sako smarcato sulla sinistra. Sako entra in area, salta Hutton sull’esterno e da un paio di iarde dalla linea di fondo crossa in mezzo, Camp smanaccia via in maniera un po’ goffa, proprio sui piedi di Doyle che colpisce a botta sicura da dentro l’area di porta, ma trova un miracoloso tackle di Collins a respingere.

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Il grande tackle di Collins su Doyle.

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È il momento migliore dei Wolves: azione insistita di Pennant sulla destra, cross dal fondo e respinta affannosa in corner di Lansbury in ripiegamento difensivo. Sul corner successivo, batti e ribatti in area, palla a Doyle sul lato corto dell’area opposto a quello di battuta dell’angolo, cross in mezzo, deviazione al volo di Siguradarson e miracoloso intervento di Camp a salvare la nostra porta. L’Islandese tenta di inviare in rete di testa la respinta, ma è scoordinato, la palla è alta, e riesce solo a passarla al nostro estremo. Camp rimane lucido e lancia sulla sinistra Cox, che riceve sulla nostra trequarti e si lancia in contropiede. Dialogo con Cohen sulla sinistra, cross della nostra ala sul limite della loro area e tentativo di Sharp contrastato in tackle efficace da Johnson. Partita davvero bella, un grande spot per il nostro campionato, visto che è trasmessa in diretta da al Jazeera.

Dopo l’ammonizione di Lansbury per un brutto fallo su Sako in ripartenza all’altezza della linea di metà campo, ripartiamo con un uno-due tra Cox e Sharp sulla sinistra del nostro schieramento. Sharp punta il vertice dell’area di rigore, vede l’inserimento di Guedioura dall’altra parte e cerca di servirlo con un interno destro morbido. Johnson interviene di testa, ma proprio sui piedi di Lansbury che si impossessa del pallone al limite dell’area e questa volta cerca di imitare Maradona, con uno slalom dentro l’area Old Goldie che lo porta a saltare due avversari e a tirare un possente diagonale deviato con difficoltà da Ikeme sul fondo.

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Lansbury salta il primo avversario con un interno destro, e sta per saltare il secondo con un tocco d’esterno, prima di andare al tiro: “fantastic play”!

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Il secondo tempo è un po’ più lento e meno avvincente della prima parte della partita: Il primo pericolo viene da Cox, che interviene sulla loro trequarti a impossessarsi di un fraseggio impreciso in disimpegno dei Wolves. Cox serve Cohen in inserimento centrale, Chris arriva sul limite centrale dell’area di rigore e la porge sulla destra all’accorrente Sharp. Sharp cerca uno spazio per il tiro ma non lo trova, allora decide di ripassare a Cox lungo l’asse del limite dell’area. Coxie controlla in mezzo al traffico, con un po’ di difficoltà, e tira un po’ sporco, per un facile controllo di Ikeme.

Guedioura riconquista un altro pallone sulla nostra trequarti con fare gladiatorio, la offre sulla sinistra a Cohen che trova l’uno-due con l’Algerino lanciandolo in profondità. Guedioura avanza fino alle venticinque iarde, poi esplode un tiro di collo interno destro che si infila imparabilmente a mezza altezza a fil di palo sulla destra di Ikeme. Tiro fantastico e vantaggio nostro, per la prima volta da tipo 35 anni al Molineux!

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Fantastico tiro di Adlene, che dopo aver segnato sceglie di non esultare, per rispetto ai vecchi tifosi. Ma che cagata.

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Il Wolverhampton, come tutte le squadre in crisi, non si rialza più dalla mazzata, e ci consegna la partita quasi senza più combattere.

Dopo un’azione molto confusa seguita a un corner di Pennant, però, siamo noi a ripartire, con una bella palla sradicata dall’immenso Lansbury dai piedi di Sako, che aveva a sua volta sottratto il pallone a Cox con un contrasto apparentemente irregolare, e rilanciata immediatamente a Cox con una grande apertura di una quarantina di metri; Sharp viene anticipato, questa volta, da una buona uscita fuori area di Ikeme.

Purtroppo, il contasto subito da Cox, apparso dal repley quasi da rosso, provoca gravi danni alla sua caviglia, che verranno in seguito diagnosticati guaribili in un paio di mesi. Coxie esce in barella e viene sostituito da Blackstock.

Dopo una nostra buona azione di alleggerimento, Sharp trova un gran tiro dalle venti iarde, purtroppo troppo centrale, e controllato in due tempi da Ikeme..

Discussioni nel finale: Doyle, già ammonito, calcia via la palla dopo che gli è stato fischiato un fallo sul recupero di Harding. L’arbitro lo richiama e gli fa un pistolotto di cinque minuti, che, certamente, ha contribuito alla crescita morale della punta del Wolverhampton, ma non alla credibilità di un arbitro che si è chiaramente cacato addosso astenendosi dal tirar fuori un sacrosanto secondo cartellino giallo.

Dopo sei minuti di recupero, l’arbitro finalmente fischia per il nostro primo successo a Wolverhampton

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Momento migliore: il passaggio di Lansbury per Sharp, straordinario per forza, precisione, visione di gioco, immediatezza di decisione e prontezza.

Momento peggiore: l’infortunio di Cox. Con il senno di poi, il lavoro della nostra punta davanti e sulla tre quarti è risultata una perdita gigantesca per il nostro gioco..

Hero: Lansbury e Guedioura hanno disputato una partita gigantesca. Dovendo scegliere tra i due, scelgo il londinese. Se avesse segnato dopo il doppio dribbling di interno-esterno sarebbe stato il gol dell’anno, ma anche così è stato il giocatore chiave dell’impresa.

Zero: Nessuno; un pochino deludente la prova dell’esordiente Hutton: da un giocatore con diverse presenze in Champions, anche all’esordio, ci si sarebbe dovuti aspettare un po’ più di personalità.

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Forest: Camp, Harding, Collins (c), Ward, Hutton, Gillett, Guedioura, Lansbury (Moussi 88′), Cohen, Cox (Blackstock 65′), Sharp (Moloney 90′).

NE: Darlow, McGugan, Coppinger, Ayala.

Marcatori: Sharp 16′, Guedioura 57′

Ammonito: Lansbury 42′

Wolves: Ikeme, Edwards, Sako, Ward, Johnson, Sigurdarson, Berra, Pennant (Ebanks-Blake 75′), Doumbia (Davis 75′), Doyle (c), Foley (Forde 89′).

NE: De Vries, Stearman, Nouble, Batth.

Marcatore: Sigurdarson 6′

Ammonito: Doyle 39′

Arbitro: Roger East

Spettatori: 22.527

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1959 Fa Cup Final: il “Players’ pool”

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Torniamo a Gary Imlach e al suo My Father and Other Working-Class Football Heroes, per occuparci questa volta del periodo immediatamente precedente alla finale; in particolare, soprattutto, del modo in cui i giocatori del Forest cercarono di arrotondare il loro magro stipendio con qualche piccola trovata imprenditoriale, come vedremo, più o meno lecita.

È un gustoso quadretto d’epoca (anche se a tratti tragico), in cui le ultime onde di povertà e di austerità provenienti direttamente dal dopoguerra andavano a morire sulle scogliere di un incipiente e generalizzato benessere: se nel 1959 i giornali si dividevano ancora tra i trasferimenti dei giocatori e la fine del razionamento del burro, i giocatori guadagnavano £15 a settimana, le squadre eliminate in semifinale licenziavano i giocatori come se fossero aziende in crisi, e il bagarinaggio era l’attività più lucrativa per chi riusciva a portare la sua squadra agli ultimi turni di FA Cup, dieci anni più tardi George Best, con i suoi ingaggi e con il suo stile di vita, metterà definitivamente fine all’appartenenza di giocatori di calcio e tifosi della working-class alla medesima comunità, e darà il via a una nuova identificazione, che prosegue tutt’ora: quella tra i calciatori e le stelle del rock e della musica pop.

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IL PLAYER’S POOL

Nell’aprile del 1959, poco dopo che il Forest ebbe battuto l’Aston Villa in semifinale, Billy Walker fu invitato come oratore ospite a un incontro di uomini d’affari di Nottingham. Sul punto di disputare la sua seconda finale di FA Cup da manager – incredibilmente, ventiquattro anni dopo la prima con lo Sheffield Wednesday – era stato invitato a parlare sui segreti del successo nella gestione del patrimonio umano, probabilmente; o sul segreto della sua longevità professionale, cose così, insomma.

Ma, soprattutto, quale che fosse il tema originario della conferenza, ebbe molto da dire, immagino, sul fatto che la Players’ Union [Allora in lotta per rivedere i massimali degli stipendi, NDT] avesse descritto i sui affiliati come degli “schiavi”. I sui giocatori, disse, erano vestiti meglio di lui, anzi, meglio vestiti dei membri del Comitato che gestiva il Club. Sedici di loro possedevano un’automobile. “Una settimana fa”, disse agli uomini di affari, “la maggior parte dei nostri ‘schiavi’ ha ricevuto 38 sterline in un’unica busta paga”.

Questa frase consegnò al Daily Express il titolo della pagina sportiva: “GLI SCHIAVI DEL FOREST VANNO IN MACCHINA A PRENDERE £38”. E può persino darsi che Billy Walker abbia sottostimato di una sterlina la sua indignazione. La stagione precedente la paga massima era passata a 20 sterline alla settimana, anche se non per tutto l’anno, come i giocatori si sarebbero aspettati [ma solo per la stagione agonistica], e il bonus per una vittoria era salito a 4 sterline. Due giorni dopo aver battuto il Villa, il Forest ne aveva messi cinque al Preston North End fuori casa, in una partita di campionato. Oltre alla paga normale e ai premi vittoria, bisognava sommare il premio per la conquista della finale di Coppa, 15 sterline, per un totale complessivo, dunque, di 39 sterline.

In ogni caso, fu un’interessante scelta di argomento per un manager la cui squadra stava a qualche settimana di distanza dalla partita più importante della sua storia. Gli esempi che, secondo lui, avrebbero dovuto dar conto della loro favolosa ricchezza dei giocatori la dicevano lunga: bei vestiti e automobili. Erano cose di cui sia lui sia i membri del Comitato avevano goduto per anni, e che davano per scontate. La sua paga era il doppio della loro.

Nell’Inghilterra classista di quegli anni, Billy Walker non stava accusando i giocatori di godere di una ricchezza al di là di ogni più bieco sogno di avarizia, ma, piuttosto, del fatto di godere di una ricchezza che andava al di là del loro status sociale. In un altro articolo dello stesso giornale, un membro dell’FA Council accusava i giocatori inglesi di “viaggiare nelle carrozze di prima classe dei treni, le stesse in cui viaggiavano gli ufficiali dell’Esercito”. E Mel Charles, fratello di John, era stato coperto di ingiurie per aver cercato di usare un agente per trattare il suo trasferimento dallo Swansea. Il Presidente della Football League, Joe Richards, aveva definito il tentativo di Charles “un affare vomitevole”, e aveva garantito che l’agente non sarebbe stato riconosciuto da nessun club.

Non ci fu nessuna risposta pubblica da parte dei giocatori del Forest alle esternazioni di Wright. Del resto, non avevano alcun bisogno di giustificare paghe perfettamente in linea con i massimali imposti dalla Lega. E, d’altra parte, sapevano benissimo le ragioni della sua irritazione. Dopo la semifinale, il manager aveva preso con sé i giocatori per qualche giorno, per una vacanza in un hotel di Blackpool. Aveva organizzato una riunione, e aveva proposto di fare loro da agente per tutte le opportunità commerciali che fossero occorse da lì alla loro partecipazione alla Finale. I giocatori avevano rifiutato.

“Voglio dire, Billy Walker era il tipo di persona che prima di arrivare alla stazione per le partite in trasferta passava a chiederti mezza corona per il facchino, e le prime due o tre volte era capace che ci cascavi anche. Poi cominciavi tu a tampinarlo per avere indietro le tue mezze corone”. Dal momento che era uno dei due giocatori della squadra con una medaglia conquistata tra i senior, l’opinione di Chic Thomson contava un sacco, da gli altri giocatori, ma pare che il No alla proposta di Wright fosse stato unanime.

“Beh, era un simpatico truffatore,” mi disse Johnny Quigley, l’interno destro di Glasgow, “un adorabile furfante, ma ti assicuro che se avessimo accettato non ci sarebbe rimasto in tasca molto”.

I giocatori misero su il loro pool, fecero delle foto con la maglia della squadra davanti al carro per le consegne della birreria locale, — The Two Popular Favourites — parteciparono a inaugurazioni, organizzarono un “ballo dei giocatori del Forest”. Jeff Whitefoot, l’unico a avere avuto esperienza in un grande club, il Manchester United, fu incaricato di andare in giro a cercare occasioni di guadagno. Jack Burkitt e Chic si occupavano della tesoreria, e distribuivano gli assegni.

“Mi ricordo ancora del ballo organizzato prima della finale. Jeff Whitefoot andava a vendere i biglietti porta a porta, una cosa mai vista, ma alla fin fine non è che abbiamo tirato su molto. Allo United, in quelle squadre lì, insomma, avrebbero fatto su molti più soldi; poi ci fu un’altra battaglia con Mr Walker, perché non gli demmo la sua parte.”

Se i giocatori avessero avuto bisogno di qualche giustificazione per i loro tentativi di guadagnare autonomamente qualche soldo in più, ne avrebbero trovate in abbondanza leggendo la cronaca sportiva dei quotidiani di quei giorni: nove giorni dopo la sconfitta in semifinale di Coppa contro il Forest, l’Aston Villa annunciò il licenziamento di sedici giocatori. Più di mezza squadra era di troppo, e sarebbe stata sfoltita alla fine della stagione, dal momento che, invece, di denaro di troppo non ne era entrato. La partecipazione a una finale di Coppa avrebbe potuto salvare la stagione del Villa, e anche il posto di lavoro almeno a alcuni giocatori.

Se il ballo dei giocatori può essere classificato come folklore, in quei giorni si accesero preoccupazioni molto più serie. Mio padre e i suoi compagni di squadra dovettero sottoporsi ai test per la polio, insieme ai membri di un’altra mezza dozzina di squadre che avevano giocato contro il Birmingham City nelle precedenti sei settimane. Il terzino destro del Birmingham e della nazionale inglese, Jeff Hall, si era ammalato gravemente, e giaceva in ospedale in fin di vita. Ci furono anche voci sul fatto che si sarebbero posticipate le partite di Pasqua. Mio padre aveva giocato tre volte in nove giorni contro Hall, che era giusto il suo avversario diretto, proprio in FA Cup: due pareggi e un 5-0 per il Forest nel secondo replay.

I test furono tutti negativi, ma le caratteristiche di brevità e di incertezza della carriera da calciatore divennero paurosamente evidenti. La polio era rarissima, ma le gambe rotte e i legamenti spezzati erano cose di ogni settimana. Jeff Hall morì due settimane dopo il suo ricovero in ospedale.

Fu proprio la morte di Hall, tra l’altro, a dare il colpo decisivo al dibattito sull’opportunità del vaccino antipolio generalizzato e obbligatorio in Gran Bretagna. Dopo la sua morte, e dopo l’appello in tal senso della sua vedova, Dawn, la richiesta di vaccinazione — che era già disponibile — aumentò in maniera esponenziale, fino a arrivare all’obbligatorietà pochi anni dopo.

Nessuno si ricorda più, ora, quanti soldi vennero dal pool organizzato dai giocatori. Quale che sia stata la somma, Billy Walker non ebbe la sua percentuale da “agente”. Il 16 aprile, tre settimane prima della finale, il manager convocò i suoi giocatori per un altro incontro, e subito dopo rilasciò una dichiarazione pubblica: “Tutte le attività di raccolta di fondi, da questo momento in poi, sono sospese. Dobbiamo tornare a pensare al football e a nient’altro che al football prima della finale. Il soccer non dovrà più essere un’attività collaterale. I giocatori sono troppo stanchi, a causa dei loro impegni estranei al gioco, bisogna finirla”. Era vero che il Forest aveva avuto un calo di forma, ma nessuno al club credeva che quello fosse il vero motivo per il nuovo divieto imposto dal manager.

Nei giornali, i giocatori cominciarono a essere descritti come un branco di imbroglioni d’alto bordo, ma non per la faccenda del pool, dei balli di raccolta fondi, e nemmeno per la pubblicità al birrificio locale. La ragione dello sdegno fu la vendita dei biglietti della partita.

Approfittarsi della scarsità di un bene per venderlo sottobanco a prezzo maggiorato era un’azione che per i tifosi di calcio appartenenti alla working-class aveva una connotazione orribile, dal momento che molti beni erano stati razionati ancora per molti anni dopo la fine della guerra. Meno di cinque anni prima dell’anno della finale, quando mio padre aveva firmato per il Derby, il suo ingaggio si era diviso le prime pagine dei giornali locali con la notizia della fine del razionamento del burro per la prima volta da quattordici anni. Molti tifosi del Forest avevano visto con simpatia il tentativo dei giocatori di fare qualche soldo extra dal raggiungimento di una finale che portava lustro a tutta la città, e molti di loro avevano perfino comprato il biglietti per le danze, ma i biglietti per la partita erano una faccenda molto più seria, che colpiva le emozioni profonde dei tifosi.

Wembley, come è noto, allora teneva 100.000 spettatori. Ora che la FA aveva accontentato i soliti noti, i privilegiati di turno, coloro che avevano diritto a un biglietto, il dotto e l’inclita, alle due squadre toccavano circa 15.000 biglietti a testa. Più o meno la metà di questi biglietti furono sorteggiati tra i 72.000 tifosi del Forest che ne avevano fatto richiesta, attraverso un sistema di sorteggio sorprendentemente trasparente, da parte del club. “Ieri tre anonimi incaricati, completamente bendati, hanno estratto da un barile da 75 galloni dipinto di rosso le lettere di richiesta di circa 8.000 fortunati tifosi…”, cominciava la cronaca dell’Evening Post. Questa procedura, però, lasciava cira 64.000 tifosi senza biglietto a litigarsi i restanti tagliandi, distribuiti tra istituzioni caritative, agenzie di viaggio e la solita consorteria di soggetti dal cappotto col risvolto di pelliccia. Per ciascuno di loro, la principale possibilità di avere un biglietto rimanevano le fonti interne al club, e subito cominciarono a circolare le voci su come la squadra avesse distribuito i restanti 7.000 biglietti.

Per esempio, ogni giocatore ricevette 12 biglietti, metà dei quali seduti, il resto in piedi, con l’opzione, per di più, di poterne acquistare ancora di tasca loro. Insieme ai biglietti, ciascun giocatore riceveva un foglietto di carta bollato dalla FA che avvertiva come ciascun tagliando fosse marcato da un numero di serie registrato; ma questo non aveva mai scoraggiato i giocatori dal rivendere i loro biglietti: anzi, la vendita dei biglietti per la Finale da parte dei giocatori era diventata una specie di tradizione della Coppa.

Dopo il quinto turno giocato dal Forest contro il Birmingham, due giocatori del City, Trevor Smith e Dick Neal, furono accusati di aver bagarinato personalmente i loro biglietti fuori dallo stadio prima della partita. Ma per piazzare i biglietti per la Finale i giocatori non avevano alcun bisogno di uscire di casa. I tifosi sapevano benissimo dove vivevano, perché abitavano accanto a loro, e cominciarono subito a impestare le soglie delle loro case come cantatori di carole natalizie fuori stagione.

I giocatori del Forest usavano trovarsi in un caffè vicino al Trent Bridge, dopo l’allenamento; i giocatori del Notts County si ritrovavano in un locale un po’ più dimesso, dall’altra parte di London Road. Nelle settimane prima della Finale sembra che qualche giocatore del Forest abbia attraversato la strada per fare due chiacchiere con il proprietario del locale del County, Bob Green, che teneva un’amplissima attività di compravendita di biglietti. A seconda delle ricostruzioni, il pollo della storia cambia sempre — per alcuni era Peter Wilson, il centromediano di riserva, per altri era Tommy Wilson, il centrattacco, per altri ancora era uno dei due Wilson che agiva per conto di mezza squadra — ma il nome del cattivo non cambia mai: Bob Green prese un numero non specificato di biglietti da un giocatore del Forest, che acconsentì ingenuamente a lasciarli giù e di tornare dopo a prendere i soldi.

Dennis Marshall, che mi ha raccontato l’episodio, è certo che sia stato Tommy Wilson: “Tommy andò all’appuntamento al momento prefissato, e quando arrivò non trovò Green, ma c’era solo una donna dietro al bancone, che disse ‘Oh, è uscito un attimo. ha detto che può lasciare i biglietti a me, le darà i soldi non appena tornerà’. Tommy acconsentì, lasciò giù i biglietti e uscì qualche minuto, andò tipo a dar da mangiare ai cazzo di cigni [bloody swans] del Trent. Quando tornò indietro, non solo non trovò né la donna, né il proprietario del pub, ma trovò tutto sbarrato e chiuso con le assi; non solo non li vide più, ma nemmeno la polizia riuscì mai a ritrovare la coppia”.

Bob Green divenne uno dei protagonisti della cronaca della stampa nazionale per settimane. Faceva apertamente pubblicità per la vendita di biglietti per la finale nella bacheca del caffè, e li vendeva apertamente sul bancone. Era la solita storia di bagarinaggio sordido, ma questa volta erano coinvolti giocatori del Forest. Una volta che fu coinvolta la polizia, soprattutto a causa dell’insistenza del segretario del club, Noel Watson, non ci fu modo di tenere nascosta la vicenda. Ancora il giorno della finale, il Daily Express pubblicò una caricatura dei giocatori del Forest tutti forniti della valigetta da business-man di ordinanza.

Mio padre non fu coinvolto nello scandalo del caffè, ma non è che non fece su i suoi bei soldini dai biglietti. Dopo averne dati un po’ a amici e familiari, tutti gli altri li diede a Jack Watson, un imprenditore edile locale, che aveva fatto dei lavori per la nostra casa. Tenne un biglietto per sé e vendette gli altri, dividendo il ricavato con mio padre.

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La vignetta satirica di cui parla Gary Imlach: Walker dice “Ho fiducia che la mia squadra di businessman ricordi abbastanza calcio da vincere”, mentre uno dei giocatori dice “Avete visto qualche proprietario di pub, di recente?”. Tutti i giocatori del Forest hanno la valigetta, come raccontato da Imlach, e sul coach della squadra ci sono annunci economici “Biglietti in vendita”, “Fotografie (costose) con la squadra”, e “Comparsate in vendita”. Stewart Imlach è l’ultimo sulla destra. Dall’altra parte, la caricatura riguarda Syd Owen, manager, capitano e giocatore della squadra.

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Giù giù lungo la catena alimentare, anche altri personaggi nel giro della squadra fecero lo stesso. Il Comitato fornì con magnanimità a chiunque fosse in qualche modo legato al club non solo i biglietti, ma anche il viaggio, per essere sicuri che potessero affrontare la trasferta. Nella settimana dopo la finale, l’agente di viaggio del club ricevette una gran quantità di richieste di rimborso per i viaggi non goduti da parte di impiegati o di altri titolari di biglietto che “non erano potuti andare” per un motivo o per l’altro. Avevano venduto i biglietti, ma non avevano potuto vendere i voucher per il viaggio, che erano nominativi.

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Sulla ricostruzione della squadra – 3: Mark Arthur al Footballers’ Football Show

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Questa notte, Mark Arthur è intervenuto al Footballers’ Football Show, ospite di David Kelly insieme a George Boateng (acquisto di McClaren, ora gioca nella Super-League malaysiana) e Sam Allardyce. Speriamo di fare cosa gradita riportando di seguito le sue dichiarazioni.

David Kelly: Ora, con i nuovi proprietari del Nottingham Forest in carica, chi è l’interlocutore principale di Sean O’Driscoll?

Mark Arthur: Sean lavora con Keith Burt, il nostro direttore dello scouting, entrambi parlano con me. Nessuno di noi parla con il nostro principale azionista su basi regolari. Fawaz Al Hasawi vive in Kuwait, e cerca di venire in Inghilterra ogni volta che può. Il nostro presidente, Omar Al Hasawi, vive a Londra, e viene a vedere al City Ground tutte le partite. Il dialogo con lui è molto buono.

Abbiamo cominciato a lavorare insieme solo quattro mesi fa, abbiamo cominciato a preparare la nuova stagione molto tardi — il takeover ha avuto luogo quando già era iniziata la preparazione pre-campionato — e la nuova proprietà ha fatto un ottimo lavoro nel permettere a Keith e a Sean di prendere i giocatori di cui pensavano di aver bisogno. Alan Hutton, arrivato oggi, è il 15° giocatore arrivato al Nottingham Forest da quando O’Driscoll è in carica. Ci vuole un po’ di tempo, per stabilizzare la situazione.

Abbiamo avuto un incontro con i proprietari all’inizio di questa settimana per discutere a quale punto sia il lavoro di ricostruzione della squadra, e di che cosa c’è bisogno a gennaio. La comunicazione è un fattore vitale, anche se le notizie da trasmettere non sono molte: è importantissimo parlare l’un l’altro, io non sono mai stato per il “divide et impera”, non mi è mai sembrata la via giusta per andare avanti.

DK: Qual è la cosa più difficile da fare? Licenziare un manager o trovarne uno nuovo?

MA: Senz’altro trovare la persona giusta per un lavoro. Non basta parlare con un potenziale nuovo manager, parlare di tutti i differenti aspetti del lavoro, e certamente abbiamo parlato moltissimo con Steve McClaren l’anno scorso prima che accettasse l’incarico — a essere sinceri, avevo sempre pensato che avrebbe rifiutato, per andare a allenare in Premier League — e non ci siamo resi conto che non era l’uomo adatto per la sfida che ci stava di fronte. Noi guardavamo a questa da un certo punto di vista, e lui la stava osservando sotto un punto di vista totalmente differente. Probabilmente non ci siamo mai capiti l’un l’altro, è questo il motivo principale per cui Steve ha deciso di mollare dopo 111 giorni.

Sono stati fatti errori da parte di entrambe le parti, in questa faccenda. Penso che quello che abbiamo fatto quest’anno, quando abbiamo deciso di portare Sean O’Driscoll al Forest sia stata una cosa che i giocatori volevano, e che i tifosi volevano. Qualcuno che sia un costruttore, e che faccia con calma il suo lavoro. Questo è esattamente quanto i nuovi proprietari desiderano fare, dal momento che hanno dichiarato che il progetto è quello di conquistare la Premier League in quattro anni. Vogliono costruire un club adatto alla massima serie, con fondamenta solide, e questa è una cosa straordinaria, sia dal punto di vista di Sean, sia dal mio.

George Boateng: Durante il mio periodo di permanenza al Forest non ho quasi mai parlato a Mark, perché era molto occupato nell’opera di acquisizione dei giocatori. Quando è arrivata la nuova proprietà, tutti erano convinti che stessero cercando un top manager, di alto profilo, ma alla fine hanno scelto Sean. Qual è la verità? Sean era una prima scelta, o un ripiego dopo che i tentativi di portare al Forest un top manager sono falliti?

MA: La nuova proprietà ha organizzato in maniera eccellente un sistema di approcci e di colloqui. Molte persone con le quali hanno parlato o non erano convinte che questo fosse il lavoro giusto per loro, o non hanno convinto i proprietari di essere le persone giuste per il Nottingham Forest. Invece di gettarsi di volata dentro una scelta poco convinta, hanno scelto di fare una riflessione generale su tutto quello che avevano raccolto e di parlare con me e con Keith: ci chiesero proprio “che cosa dobbiamo fare?”. Noi siamo stati in grado di intervenire, con la nostra esperienza di lavoro al Nottingham Forest, e di aiutarli a prendere una decisione. Sono molto contento della scelta, e confido che sia stata la scelta migliore: penso che nelle vene del club scorra una vera armonia per la prima volta da tantissimo tempo.

GB: La classifica della lega lo dimostra…

MA: Abbiamo 26 punti. Lo scorso anno impiegammo 31 partite per raggiungere 26 punti. Quando si portano in squadra 14, ora 15 nuovi giocatori così velocemente, ci vuole tempo per dare una forma al gioco. Sean ha fatto un lavoro rimarchevole in un periodo di tempo molto corto, e abbiamo anche avuto un po’ di infortuni in difesa, a complicare le cose. Da qui l’ingaggio di Alan Hutton, proprio di oggi. Quindi, io penso che il meglio debba ancora venire, e che non possa venire fino alla prossima stagione. Ma chissà, se riuscissimo a arrivare in buona posizione dopo Natale, e arrivassimo in buona forma a marzo, potremmo anche lanciare la nostra sfida.

DK: Le ambizioni del club sono cambiate con gli Al Hasawi? La promozione ora è una precisa ambizione della proprietà, invece che una speranza?

MA: Certamente, non per quest’anno, e nemmeno per l’anno prossimo. Ma alla fine l’attesa della proprietà è la promozione in Premier League. Io penso che quest’anno la qualità della squadra e la qualità dei giocatori sia già ottima, e il campionato è così imprevedibile! Ciascuna squadra può battere qualsiasi altra squadra. Chiunque verrà promosso quest’anno, vorrà dire che avrà lavorato incredibilmente bene. Naturalmente, essere promossi significa poter godere dei proventi che la Barclays Premier League garantisce, e anche nel caso di un ritorno immediato in Seconda Divisione si hanno la possibilità di tornare immediatamente in PL certo superiori a quelle che club come il Nottingham Forest possono vantare. Sarebbe bellissimo farcela, e noi siamo sempre pieni di speranza, ma forse questo gruppo di giocatori potrà cominciare a essere davvero competitivo solo all’inizio della prossima stagione.

Anche l’intervista riporta la notizia dell’ingaggio, in prestito di emergenza fino al 2 dicembre, di Alan Hutton, nazionale scozzese. Alan è un terzino destro di scuola Glasgow Rangers, con diverse presenze anche in Champions League; è passato dai Blues al Tottenham nel gennaio 2008 per una cifra vicina ai 9 milioni di sterline, dopo aver rifiutato il trasferimento nell’estate precedente. Dopo aver giocato 50 partite per gli Spurs, alternandosi con Corluka e accumulando altre presenze in Champions League, tra le quali il 3-1 interno contro i campioni in carica dell’Inter, l’arrivo di Kyle Walker gli ha chiuso un po’ la strada, e è passato al Villa nell’agosto del 2011.

Ha totalizzato 31 presenze per i Villans, ma quest’anno è rimasto ai margini della squadra, dopo l’arrivo di Matthew Lowton.

Ha la fama di giocatore ruvido: un suo tackle su Shane Long use fuori gioco il giocatore del WBA per sei mesi, e, benché non sanzionato sul campo, sollevò un dibattito sull’eccessiva rudezza del contrasto: da quel momento, Alan é un po’ preso di mira dagli arbitri, e ha collezionato un paio di espulsioni.

La sua carriera internazionale è fatta di 28 presenze con la nazionale scozzese, tra le quali la più memorabile è quella che nel 2007 vide la Tartan Army vincere al Parco dei Principi contro i vicecampioni del Mondo.|

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“A massive three points”: Nottingham Forest 1-0 Sheffield Wed

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A volte capita che una partita in cui entrambe le squadre sprecano tonnellate di buone occasioni, per errori di mira o per scelte sconsiderate in fase di conclusione, venga decisa, invece, da un’unica rete provocata da un unico evento del tutto fortuito e occasionale. Quando questo capita a favore della propria squadra, in campo in casa contro un’avversaria ritenuta alla vigilia “facie”, i commenti possono essere di due tipi: o del tipo “bicchiere mezzo pieno”, come quello di Blackstock che ho messo nel titolo, che puntano sul puro esito della partita, sulla difficoltà del campionato, sul clean sheet e sulla necessità di mostrare pazienza per una squadra, comunque sia, in costruzione; o del tipo “bicchiere mezzo vuoto”, che puntano, invece, sulla modestia della prestazione, sulla fatica fatta a battere un avversario che si dibatte in fondo alla lega e sulla difficoltà che patiamo nel trovare un gioco finalmente realmente efficace.

Dopo aver visto gli highlits estesi, devo dire che propendo più per la prima interpretazione. È vero che la Championship è un campionato bastardo, e che a ogni giornata clamorose sorprese vengono a ricordarcelo, e è vero che, nonostante le difficoltà patite sabato, tutto sommato la difesa — pure sempre in grave emergenza, ha retto all’urto di una squadra migliore di quanto non dica la classifica, e protagonista, nella ripresa, di dieci minuti davvero di ottimo calcio, durante i quali avrebbe potuto, se non meritato, di chiudere la gara.

Atmosfera delle grandi occasioni al City Ground: ottima la presenza locale, ma, soprattutto, straordinaria quella ospite, con quasi 5.000 tifosi al seguito, una delle più alte registrate negli ultimi tempi a Nottingham e, in ogni caso, la più massiccia rappresentanza di tifosi ospiti in Inghilterra in questa giornata, al di fuori della EPL. I tifosi degli Owls hanno celebrato, prima e durante la partita, Jose Semedo, il forte giocatore di scuola Sporting Lisbona, con qualche presenza anche a Cagliari, giocatore dell’anno la scorsa stagione in League One. Un sacco di bandiere portoghesi sugli spalti occupati dagli ospiti, e persino numerosi fan con la maschera rappresentante le fattezze del centrocampista portoghese. Una simpatica carnevalata, ideata da un giovane tifoso degli Owls che ha preso ispirazione da un’analoga iniziativa presa a Dortmund: ha postato la proposta sul forum ufficiale dei tifosi biancoblù, l’iniziativa ha raccolto grande successo, e la partita di Nottingham è stata scelta per la celebrazione, contribuendo a rendere l’atmosfera ancora più piacevole.

Ancora problemi in difesa per noi, con Harding fuori e Ayala, convalescente, ancora in panchina: confermati, dunque, sulle due fasce Moloney e Halford, e in mezzo Ward. Davanti Cox è stato lasciato precauzionalmente in panchina dopo l’infortunio al piede patito in settimana nella partita con la Repubblica, mentre a centrocampo fa la sua comparsa per la prima volta dal primo minuto Jermaine Jenas, preferito a McGugan e a Guedioura come elemento avanzato del rombo di centrocampo.

Camp

Moloney — Ward — Collins — Halford

Gillett

Cohen — Jenas — Reid

Sharp — Blackstock

Anche se la prima azione è nostra, con un colpo di testa di Sharp su cross di Halford dopo una quarantina di secondi di nostro possesso palla, la partenza è color civetta: un cattivo passaggio di Collins dalla nostra trequarti è troppo lungo per Reid, che non riesce a controllare. Barkley recupera palla sulla linea centrale, e lancia immediatamente per Madine sulla nostra trequarti. Il centravanti biancoblù avanza una quindicina di metri, e poi lascia partire un tiro di interno destro molto insidioso, respinto in corner da Camp in tuffo alla sua destra per il primo corner della partita. Oltre al passaggio impreciso che ha iniziato l’azione, da segnalare la libertà goduta dal massiccio Madine nell’avanzamento e nel tiro.

Su un rilancio da centrocampo del Wednseday va di testa al rinvio Ward, al limite della nostra area, ma colpisce male e la palla finisce all’indietro, dove Antonio è più veloce di Moloney a impossessarsene, sul lato corto dell’area di rigore, alla destra di Camp. Antonio riesce a darla dietro all’accorrente Madine sul vertice dell’area: Madine entra un paio di passi nell’area e scocca un tiro diagonale molto potente che Camp devia nuovamente in angolo.

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Antonio la dà dietro per l’inserimento di Madine, completamente libero: ancora una volta, come spesso succede in questa prima parte del torneo, il centrocampo fa un cattivo lavoro di protezione della nostra linea difensiva, e un inserimento da dietro ci coglie di sorpresa.

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Primo serio pericolo per la porta dello Sheffield: rilancio lungo quasi dal limite della nostra area di Halford, Blackstock cerca il controllo di petto sul limite dell’area opposta, la palla arriva dietro a Reid in avanzamento, anche lui lasciato colpevolmente solo dalla difesa degli Owls, Reid la dà di prima a Sharp, posizionato esattamente all’incrocio tra la lunetta e il limite dell’area; Sharpie riesce a ridarla a Reid con un bellissimo esterno, Reid la controlla con un po’ di difficoltà all’altezza del dischetto, spostato sulla sinistra della porta di Kirkland, il quale esce benissimo chiudendo lo specchio alla nostra ala sinistra, e riesce a mettere in angolo.

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Magia di Sharp che riesce a restituire la palla a Reid in piena area. Purtroppo, il passaggio è appena largo, e Kirkland riesce bravamente a arginare la conclusione di Reidy.

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Corner di Bothroyd, con due conclusioni di Madine e di Pecnik respinte dal muro umano posto di fronte alla porta di Camp.

Lancio filtrante di Semedo per Antonio che si invola da solo sulla destra, e arriva sul lato piccolo della nostra area di rigore. Si ferma, prende la mira e crossa sul limite della nostra area piccola, per fortuna arriva Moloney in ottima diagonale a spazzare via.

Bruttissimo passaggio indietro di Gillett, che, dopo aver ricevuto una rimessa laterale all’altezza dell’area dei nostri avversari, dalla trequarti biancoblù, che lancia Madine una ventina di metri dentro la nostra metà campo. Madine arriva sulla nostra tre quarti e la offre a Barkley, una decina di metri fuori dalla nostra area di rigore; Barkley fa viaggiare di prima Pecnik sul vertice destro della nostra area di rigore. Pecnik cerca il cross di prima ma colpisce male, e ne viene fuori un tiro sporco ben controllato a terra da Camp. Disastroso sviluppo di una rimessa in gioco per noi in fase offensiva, assolutamente dilettantesca.

Bellissima rimessa laterale di Reid a una trentina di iarde dalla loro linea di fondo, che trova Blackstock lanciato in area: Dex arriva sul fondo e mette una palla indietro rasoterra che per una questione di centimetri non trova il piegone vincente di Sharp a deviare in rete. Halford recupera il pallone sulla nostra fascia sinistra, cambia fronte servendo Cohen allargato sulla fascia destra, Cohen controlla, rientra e crossa di interno destro un pallone pericolosissimo verso la porta di Kirkland, ancora una volta mancato per una questione di centimetri da Jenas in proiezione offensiva, Sharp e Dex.

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JJ, Dex e Sharp mancano di un soffio la deviazione vincente sul cross di Cohen. Solo rimandata la gioia dell’assist per Chris.

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Corner di Bothroyd, mucchio umano davanti a Camp che respinge corto, Pecnik raccoglie la respinta e da una decina di iarde la spara appena alta.

Secondo tempo: rinvio sbagliato di Buxton raccolto da Gillett nel cerchio di centrocampo, il suo tentativo di discesa, però, si scontra sul contrasto di Barkley che gli strappa la palla e lancia Bothroyd nel cerchio di centrocampo. il giocatore del QPR avanza a ampie falcate e, giunto un paio di iarde fuori dalla nostra area cerca il tiro di collo sinistro, ma il tiro è un po’ strozzato e Camp blocca sicuro a terra.

Lansbury, entrato al 50°, conquista un pallone nel traffico sulla trequarti avversaria, fascia sinistra, si accentra e cerca un tiro potente più o meno a quattro iarde dal vertice dell’area biancoblù; Kirkland è bravo a respingere in angolo.

Entra anche Guedioura, che mette subito tutto il suo peso per riconquistare un bellissimo pallone sulla nostra tre quarti, offerto poi a Sharp una decina di iarde dentro la metà campo biancoblù. Sharp cerca Cohen sulla fascia destra, Chris si accentra e da un paio di iarde fuori area, spostato sulla destra, trova un buon tiro di collo interno sinistro a aggirare, che Kirkland però blocca a terra.

Antonio, ottimo sabato sulla sua fascia destra, elude la sorveglianza di Guedioura e di Halford e, dal limite della nostra area, leggermente spostato sulla destra, cerca un tiro rasoterra; Camp respinge ma non trattiene, ma, per fortuna, nel traffico della nostra area di rigore, Danny Collins riesce a allontanare alla disperata, in spaccata. Bothroyd recupera il pallone, spostato questa volta sulla fascia sinistra, centra nuovamente, Collins respinge corto, Antonio recupera dentro l’area di rigore, leggermente spostato sulla destra all’altezza del dischetto, e tira quasi a botta sicura. Per fortuna, sbuccia il pallone che ballonzola davanti alla nostra area di porta, e Collins spazza nuovamente via alla disperata. Sharp e Semedo si contendono il campanile sulla nostra tre quarti, ma il Portoghese mette tutto il suo fisico nel contrasto, e ne esce vincitore. Avanza possentemente fino al limite dell’area, vede con l’occhio laterale tipico del grande centrocampista l’inserimento di Jones sulla sinistra, e lo serve con un bellissimo pallone filtrante. Jones avanza fino alla linea di fondo, un metro dentro la nostra area di porta, supera in scivolata Camp in uscita su di lui e la dà indietro a Bothroyd che impatta di prima a porta vuota ma trova, miracolosamente per noi, il testone santo di Collins a respingere in angolo.

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Il tiro di Bothroyd respinto da un tuffo disperato dal testone di Collins, retrocesso a estremo difensore della nostra porta sguarnita. “Forest living dangerously”, commenta giustamente Fray.

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Guedioura lavora un pallone sulla nostra fascia destra, una decina di metri dentro la loro metà campo, la dà in avanti a Gillett, avanzato fino alla trequarti. Gillett vince un bel contrasto in scivolata e la offre in mezzo all’accorrente Lansbury, che cerca l’uno due con Dex, appostato sul limite dell’area. Ottimo il pallone di ritorno del nazionale antiguano che trova con precisione l’inserimento in area dell’ex Arsenal, ma Lansbury, a tu per tu con Kirkland, la spara clamorosamente alta. Davvero un’occasione buttata nel cesso, almeno quanto quella sbagliata da Bothroyd qualche minuto prima.

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Spettacolare l’uno-due tra Lansbury, il giocatore in avanzamento che appare al limite dell’area, e Dex, in possesso di palla. Evidentemente, O’Driscoll sta lavorando moltissimo su questo movimento, perché lo proviamo spesso, e con ottimo successo.

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Fallo di Antonio su Guedioura dieci metri dentro la loro area. Batte Cohen che cerca la verticalizzazione in area, Dex arriva un centesimo di secondo in ritardo per l’impatto con il pallone, e Kirkland può controllare il rimbalzo.

Gillett conquista un bel pallone a centrocampo e lo verticalizza immediatamente per Sharp al limite dell’area. Sharp si divincola da un paio di marcature e la offre dietro a Cohen, spostato sulla destra, due metri fuori dal vertice dell’area di rigore biancoblù. Cohen stoppa di esterno sinistro, controlla e crossa con un interno sinistro a uscire verso l’area di rigore. Llera riesce a anticipare l’intervento di Blackstock e di Sharp, ma la mette alle spalle dell’incolpevole Kirkland. Dopo che tanti errori hanno impedito il gol, da una parte e dall’altra, un altro errore lo provoca, per fortuna a nostro vantaggio.

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Llera irrompe sul cross di Cohen e la mette dentro. Probabilmente, il pallone sarebbe uscito dall’altra parte.

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Una girata di Lansbury in perfetta solitudine da centroarea su corner dalla destra di Cohen, finita alta, e un tiro di Cohen — lanciato da un bel passaggio laterale di Dex — dal limite dell’area, un bel piatto sinistro a cercare l’aggiramento di Kirkland finito un capello fuori, concludono una partita nella quale, dopo il gol, abbiamo preso decisamente coraggio, e le redini della partita.

* * *

Momento migliore: gli ottimi movimenti offensivi, soprattutto i dialoghi tra i centrocampisti in inserimento e gli attaccanti che fanno da perno al limite dell’area. Reid e Lansbury hanno avuto meravigliose occasioni, in seguito a questo tipo di manovra.

Momento peggiore: i cinque minuti della ripresa culminati con l’occasionassima di Bothroyd. Abbiamo davvero sbandato, e loro entravano da tutte le parti. La cosa bella è che abbiamo resistito, per cui direi che si tratta di uno dei momenti peggiori migliori degli ultimi tempi.

Hero: ottimo il lavoro in appoggio di Sharp e Dex, ottimo l’impatto sulla gara di Lansbury e di Guedioura, meglio di Reid e Jenas, ma l’eroe del giorno direi che è Cohen: una spina nel fianco sinistro della difesa del Wednesday, sempre pericolosissimo nel tiro da fuori, sui suoi suggerimenti i nostri sono sempre arrivati con un millimetro di ritardo, ma, per fortuna, Llera no.

Zero: Nessuno, anche se le prove di Reid e di Jenas non sono state all’altezza della loro fama.

* * *

Forest: Camp, Halford, Collins (c), Moloney, Ward; Gillett, Reid (Lansbury 50′), Cohen, Jenas (Guedioura 55′); Sharp, Blackstock.

NE: Darlow, McGugan, Cox, Coppinger, Ayala.

Marcatore: Llera (og) 75′

Sheffield Wednesday: Kirkland, Buxton, Jones (Mayor 82′), Llera, Gardner (c), Barkley, Semedo, Madine, Antonio, Bothroyd, Pecnik (Johnson 52′).

NE: Bywater, Taylor, Mattock, McCabe, Rodri.

Ammonito: Llera 90′

Arbitro: Andy Woolmer

Spettatori: 24.584 (di cui ospiti: 4.405, record di giornata al di fuori della EPL)

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La terza più importante partita della loro storia.

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Se chiedeste a un esperto mitologo del Tooting and Mitcham United Football Club — squadra che si trova attualmente al 16° posto della Isthmian Football League Division One South, il cui soprannome è “the Terrors” — quale sia la partita più importante mai disputata dalla sua squadra in tutta la sua storia, vi risponderà, con tutta probabilità, di essere indeciso: o la vittoria interna nel replay del 3rd proper round della FA Cup del 1976 contro lo Swindon Town (una squadra che aveva vinto da poco una Coppa di Lega a Wembley battendo l’Arsenal, anche se aveva già mosso ben più di qualche passo verso un’irredimibile declino), dopo un pareggio ottenuto rimontando due reti di svantaggio a Swindon; oppure, il 4th proper round dello stesso anno contro il Bradford City, perso per 3-1: l’unico 4th proper round disputato dai Terrors bianconeri nella loro storia.

Solo al terzo posto nell’ideale classifica delle più grandi partite giocate nella sua storia dal Tooting & Mitcham, probabilmente, il succitato astratto mitologo metterebbe il 3rd proper round della FA Cup del 1959: una partita giocata in casa, su un terreno — lo stadio si chiama, molto indicativamente, Sandy Lane — reso terribile dal gelo di un inverno rigidissimo, nella quale i Terrors si trovarono sopra per 2-0 contro una squadra di Prima Divisione, prima di essere raggiunti sul pari da un generosissimo rigore concesso agli ospiti allo scadere.

Se la finale di FA Cup, la più antica competizione di football association del mondo, è la cerimonia annuale di celebrazione ufficiale del gioco del calcio, giocata in una vera e propria cattedrale, alla presenza di qualche membro della Famiglia reale, quando non della stessa Regina, il terzo turno della stessa è la più grande sagra popolare che festeggi il nostro sport preferito. Il terzo turno è quello nel quale entrano le 44 squadre più forti del Paese, e è quello dove arrivano a trovare posto venti superstiti dei turni preliminari, tra i quali, spesso, anche club da fuori la Football League: in questa occasione (si gioca, tradizionalmente, in un sabato nella prima metà del mese di gennaio), l’Inghilterra calcistica si ferma per l’evento, e e per moltissime piccole squadre di paese il fatto di avere raggiunto una volta il Terzo turno di FA Cup rimane scolpito nell’albo d’oro come il fatto più notevole della sua storia. Trentadue stadi ospitano l’evento, dall’Old Trafford allo Scholar Ground, posto nella Church Street, lo stadio della più piccola squadra mai giunta a questo stadio della competizione: il Chasetown, squadra di ottava serie, che riuscì nell’impresa nel 2005: un esempio unico al mondo di democrazia calcistica (anche se la Coppa di Francia, che ha deciso di ricalcare la formula della sorella inglese, conosce un evento simile, il fascino assolutamente diverso delle due competizioni fa la differenza).

Per una squadra di dilettanti o di semidilettanti, il raggiungimento del terzo turno di FA Cup, dunque, è una possibilità che passa, quando passa, una volta sola nella vita: durante il sorteggio, rigorosamente senza teste di serie, i minnows sono messi nella stessa urna con il Liverpool, l’Arsenal, il Manchester United; una mano fortunata potrebbe portare il postino o il macellaio del paese a giocare a Old Trafford, a Anfield o a Highbury. Per il Tooting, in quella occasione, il sorteggio non fu così prestigioso, ma non fu poi male: pescarono, comunque sia, una squadra di Prima Divisione, anche se non una di quelle squadre londinesi per i quali i ragazzi dei Terrors, cittadina posta nella cintura della Capitale, facevano certamente il tifo. Non fu affatto male: basti pensare che nella partita di ritorno (o meglio, nel replay resosi necessario dopo il pareggio) i simpatici negozianti e i simpatici operai di Tooting e di Mitcham si trovarono a giocare di fronte a 42.362 persone: questo sì, di gran lunga, è il record assoluto di affluenza a una partita dei Terrors.

Per la prima volta nella sua storia, al Sandy Lane arrivò la BBC, con due telecamere, e per la prima volta il Tooting finì in un servizio trasmesso a livello nazionale, quello dedicato al terzo turno di Coppa.

In questo post, il primo di quattro dedicati alla FA Cup del 1959, tratti dal meraviglioso e già citato libro di Gary Imlach My Father and Other Working-Class Football Heroes, si parlerà proprio di quella partita, la terza più importante della storia del Tooting & Mitcham, e, più in generale, del fascino del giant-killing, effettivi o solo potenziali, che sono un po’ il sale della Coppa più bella del mondo.

Giant killing

Gennaio 2004, sto seguendo alla tele il terzo turno di FA Cup, e sto pensando al terzo turno della FA Cup del 1959.

Guardo i risultati scorrere in sovrimpressione, e penso a quanto lontano dal gioco io sia via via scivolato. Non saprei dire in che serie gioca almeno la metà delle squadre il cui nome vedo passare, e di almeno la metà delle partite non saprei distinguere gli underdog dai favoriti. Ipswich 2 Derby 0, è una sorpresa o è una tranquilla vittoria interna, assolutamente prevedibile? Giocano nella stessa divisione? E Man City e Leicester? sulla parte inferiore dello schermo comincia a scorrere “Gillingham 3 Charlton 1”. Questa volta sono quasi certo che sia una sorpresa, ma non saprei dire quanto grande: in che divisione gioca il Gillingham?

Una volta le sapevo tutte, queste cose. Per un paio d’anni, l’avevo addirittura giocata tutta da solo, la Coppa. Dal terzo turno alla finale, l’intero dramma veniva messo in scena sul tappeto della mia cameretta in una maratona ininterrotta, utilizzando delle biglie e una scatola da scarpe rovesciata, nella quale avevo ritagliato cinque o sei buchi rettangolari, come piccole tane di topi, ognuna delle quali contrassegnata da differente punteggio, scritto sopra ogni tana con un pennarello. La scatola da scarpe contro un battiscopa, io appoggiato con la schiena contro il muro opposto, la più importante Coppa nazionale del mondo poteva cominciare.

Ero scrupolosamente imparziale. Semplicemente, rigiocavo le partite chiave finché non ottenevo il risultato “corretto”, quando mi sembrava, per esempio, di aver lasciato andare la biglia prima del giusto, o di aver tirato inavvertitamente più forte per una squadra piuttosto che per l’altra. Insomma, tutte le volte che mi sembrava in qualche modo di avere sfavorito la squadra per cui tenevo (inevitabilmente), rigiocavo la partita. Non ammettevo mai con me stesso di essere parziale: avevo installato come un firewall mentale nei confronti di questa possibilità, nell’interesse superiore del mantenimento dell’assoluta onestà intellettuale. Semplicemente, pensavo, volevo che le mie squadre avessero esattamente la stessa possibilità delle altre. Dal momento che non avevo le palline numerate che si usano per il sorteggio, usavo foglietti su cui avevo scritto i nomi delle squadre, piegati in quattro e messi dentro un sacchetto di stoffa. Non truccavo mai i sorteggi, confidando nella capacità metafisica delle biglie di produrre, comunque sia, i risultati giusti.

Tradizionalmente, il sorteggio veniva effettuato pescando le palline numerate da un sacco di velluto rosso: ora, le norme FIFA vietano che in una competizione omologata il sorteggio avvenga utilizzando urne non trasparenti, per cui anche la FA Cup utilizza un contenitore di plexiglass. Il sacchetto di velluto è ancora in uso, ma solo per portare sul palco le palline numerate, e per versarle nell’urna trasparente.

Di certo allora non avevo bisogno di guardare il giornale per sapere in quale serie giocasse ciascuna delle squadre che sorteggiavo, o perfino per sapere la lista delle squadre qualificate al terzo turno. Conoscevo benissimo tutte e novantadue le squadre della Football League, divisione per divisione. Non è che le avessi mai studiate in qualche modo, quelle cose: semplicemente, le sapevo, allo stesso modo in cui immagino che le conoscesse ciascun ragazzino di sette anni.

Oggi, naturalmente, non c’è tutto questo bisogno di conoscenze innate: la televisione del sabato pomeriggio è un ottimo servizio sociale per chiunque non abbia anche gravi deficit nozionistici sul contesto: una mezza dozzina di badanti ti fanno visita a casa, con tanto di abiti eleganti e cuffie in testa. Il pomeriggio passa attraversato da un giocoso, ininterrotto e gigantesco flusso di informazioni su gol, quasi gol, soffiate, ammonizioni, cattive decisioni e diaboliche libertà, Jeff [Gary Imlach, come mi suggerisce l’ottimo Pier Luigi Giganti, si riferisce a Jeff Sterling, anchorman per Sky Sport Gillette Soccer Saturday]! Ogni incidente non viene solo riportato in cronaca, viene sezionato, viene ripassato clinicamente, ben prima del fischio finale, e anche ben dopo. È uno spettacolo che crea dipendenza, indipendentemente dal vostro interesse per il gioco.

Le possibili conseguenze del fatto che i Wolves siano sotto di un gol a Kidderminster all’intervallo sono discusse con piglio serio e allarmato. Ora, voglio dire, lasciamo perdere il fatto che nessun risultato maturato all’intervallo può produrre conseguenze di nessun genere, perché nessun board si riunisce per prendere decisioni nell’intervallo delle partite, né nessun board decide di mandar via un manager per il suo insoddisfacente record a metà partita, io ebbi in quell’occasione la precisa impressione che tutto il casino che fecero in studio per quel risultato dipendesse esclusivamente dalla loro voglia disperata di avere una buona storia da raccontare. Forse, invece, è solo la necessità moderna e editoriale di metter su immediatamente una storia del tipo “che disastro per i Wolves!” ogni volta che ci sia la minima possibilità di una sorpresa, per estrarre ogni oncia di valore da ogni minima situazione, indipendentemente da come poi vada a finire effettivamente. Come che sia, tutte le nefaste conseguenze di una sconfitta erano ormai state abbondantemente sciorinate e analizzate, quando il Wolverhampton segnò il gol del pareggio in injury time.

Che zuppa ci farebbero, al giorno d’oggi, con il terzo turno del Nottingham Forest contro il Tooting & Mitcham United, l’unico club di dilettanti rimasto nella competizione del 1958-59? C’erano tutti gli ingredienti classici: il campetto di periferia, il terreno gelato, i salumieri, i panettieri e gli operai della fabbrica di candele schierati a affrontare l’aristocrazia della Prima Divisione.

Visti più da vicino, però, i contrasti cominciano a sfumare. Ciascuno dei giocatori del Tooting con un lavoro decente aveva uno standard di vita non molto differente rispetto a quello di cui godevano i loro avversari professionisti. Anzi, se il club passava loro un piccolo compenso, fatto passare come rimborso spese, i ragazzi del Tooting avrebbero potuto guadagnare più o meno la stessa cifra, se non di più, rispetto ai giocatori del Forest. Davvero, le foto pubblicate nei servizi giornalistici di presentazione della partita, o i filmati televisivi pre-match che oggi mostrano gli eroi locali dietro il bancone del negozio o piazzati in catena di montaggio non avrebbero fatto alcuna impressione nello spogliatoio dei Reds, e non l’avrebbero fatto nemmeno ai compagni di lavoro di lavoro di mio padre, nella Co-op dove lui lavorava fuori dalla stagione calcistica.

In realtà, si trattava di una partita tra due squadre composte da lavoratori: la differenza di classe tra di loro era solo di natura calcistica, e questa differenza era compensata dalle condizioni ambientali. Se mi fossi limitato a ascoltare i ricordi dei giocatori di quella giornata di gennaio, ai racconti che descrivevano il terreno di gioco come una specie di campo appena arato completamente gelato, avrei anche potuto pensare che il tempo trascorso e il rischio della figuraccia scampata per un capello avesse insinuato in queste ricostruzioni le spire sottili dell’esagerazione. Ma ho visto i filmati di Pathé News sulla partita, che mostrano una superficie impossibilmente ondulata, che vista dall’alto sembra una gigantesca impronta digitale tracciata nella neve e nel ghiaccio. Billy Walker [il manager del Forest di quegli anni] aveva già detto ai giocatori che non si sarebbe giocato, e questi stavano già mangiando il pranzo alla stazione aspettando il treno che li avrebbe riportati a casa, quando furono raggiunti dalla notizia che la partita si sarebbe disputata, comunque sia.

Oggi, tutto questo sarebbe diventato semente ideale per la messa in scena di un gigantesco capitolo televisivo del Romanzo della FA Cup: due o tre inquadrature dell’ispezione del campo… Carrellata sul cielo che minaccia ulteriori nevicate… Le immagini delle confabulazioni con l’arbitro… Se si è fortunati, qualche veloce dichiarazione dei manager, se no un’altra inquadratura del campo e poi di nuovo in studio per il dibattito tra i pundit dal titolo Si Dovrebbe Giocare O No? Mandateci Un Sms

Allora, invece, i tifosi del Forest che non avevano fatto il viaggio verso sud che cosa avrebbero potuto sapere di tutto questo? Poco, ma, in effetti, più di quanto io mi sarei aspettato: a quanto sembra, grazie a Dennis Marshall, il commentatore del Forest per la BBC, che riuscì a dare la copertura della maggior parte del match facendola trasmettere dal sistema di altoparlanti del City Ground, durante la partita delle riserve che si disputava in quello stesso pomeriggio. “Uno dei membri del Committee mi aveva chiesto ‘passeremo dei guai per questo, Dennis, non è vero?’, e io gli risposi ‘oh no, ho parlato con la FA e ho parlato con la BBC, sono d’accordo tutte e due’. A dire il vero, in effetti avevo chiesto il permesso a entrambi, ma mi avevano detto tutte due di no. Ma avevo pensato, che vadano al diavolo. C’erano un sacco di partite, quel giorno, alla radio, non c’era solo il Forest, così negli intervalli tra i miei interventi ufficiali stavo in contatto telefonico con gli addetti ai nostri altoparlanti, che ritrasmettevano agli spettatori il risultato e le informazioni più importanti. All’intervallo, gli altoparlanti diedero il seguente annuncio: ‘non vorremmo dirvelo, ma le cose vanno molto male, stiamo per essere eliminati'”.

Il Forest era sotto e due a zero. Un rinvio di Chic Thomson aveva preso in pieno un attaccante del Tooting, che aveva poi accompagnato la palla dentro la rete, poi un calcio di puro alleggerimento da quarantacinque iarde aveva colpito la parte inferiore della traversa e era finito dentro. Il Forest si avviava già a uscire dalla FA Cup, e a entrare come storia del giorno nelle ultime pagine dei giornali della domenica. A casa, mia madre stava nella dispensa, nascosta dalla radio.

“Mamma, perché non la spegni?”; quella domanda la ripetei anni più tardi, nel corso di un incidente simile, questa volta con la televisione. Incapace di reggere la tensione di una conclusione ai rigori di una partita di Coppa del Mondo dell’Inghilterra, mia madre era uscita in giardino, dove se ne stava in piedi senza fare nulla. Questo sarebbe stato comprensibile se fosse stato ancora vivo mio padre, quando lei non aveva il possesso del telecomando, ma allora in casa c’erano solo lei e il gatto. Lei disse che preferiva capire quello che stava succedendo dai rumori della folla che arrivavano ancora dalla televisione, attraverso i muri. In realtà, penso che volesse stare il più possibile lontano dalla fonte di sofferenza, senza però eliminarla completamente. Beh, nel 1959, in quanto moglie di un giocatore, non ne sarebbe potuta stare lontano per molto, comunque sia.

In realtà, in una relazione che coinvolge un essere umano che fa sport, sono i compagni o le compagne che non giocano a soffrire di più. Siedono sugli spalti, impotenti e incapaci di aiutare in qualsiasi modo, separati dal resto del pubblico dalla marca particolare della loro ansia. Mia madre fu sempre una spettatrice nervosa, incapace di divertirsi veramente alle partite di mio padre, sia quando era giocatore, sia quando era coach. “Mi emoziono troppo”, diceva.

Lui giocava, lei si preoccupava. Qualche tempo dopo, tutti noi avremmo giocato, e lei si sarebbe sempre preoccupata. Soverchiata da quattro maschi giocatori di calcio nella sua stessa casa, mia madre era un po’ il ricettacolo domestico della preoccupazione. Non era solo la paura che mio padre si facesse male, o che uscisse di squadra, o che fosse esonerato, anche se erano anche queste paure sempre presenti. Era piuttosto il peso di tutte le altre cose che avrebbe dovuto fare e cui avrebbe dovuto badare mentre era costretta a concentrarsi sul football che la schiacciava.

“Non mi preoccuperei così tanto di cose sulle quali non possiamo farci niente”, avrebbe detto mio padre alle ultime notizie portate da mia madre sulla nostra situazione finanziaria, o su qualche preoccupazione riguardante noi bambini, e sarebbe piombato in un sonno profondo e immediato. Per di più, mio padre prese letteralmente a calci mia madre per ogni notte della loro vita matrimoniale. Succedeva qualcosa mentre lui era incosciente, e questo qualcosa si manifestava nella forma di un’onirica partita di calcio. Un replay interiore della partita del sabato precedente, o un’anticipazione di quella del sabato successivo. Forse era il suo modo di avere a che fare con le questioni sulle quali non poteva far niente. Forse sognava dei sogni dei cani, con un pallone al posto dei conigli.

Non so quanto tempo mia madre avesse passato nella dispensa, ma alla fine il Forest riuscì a rimontare nel secondo tempo, e a strappare un pareggio. Uno dei solchi ghiacciati del loro campo li tradì, deviando un passaggio indietro dalle braccia del portiere e destinandolo in fondo alla rete; poi l’arbitro concesse un rigore per un fallo che solo lui aveva visto. 2-2.

Il replay al City Ground cominciò — pessimisticamente — prestissimo, in modo da consentire la disputa degli eventuali supplementari con la luce naturale, ma su un prato sul quale si sarebbe potuto giocare a biliardo il Forest vinse facilmente per 3-0, e mio padre realizzò il terzo gol.

È diventato un luogo comune, il precoce ostacolo di ogni avventura di successo nella FA Cup: la paura per un eliminazione anticipata, la partita che si sarebbe dovuta perdere e che diventa, con il senno di poi, il punto di svolta dell’intera campagna. Anche se ora, forse, non c’è più spazio per il senno di poi. Nel 1959 le sorprese, in FA Cup, avvenivano, o non avvenivano. Ora ci sono troppi soldi in ballo per non spremere tutto il valore possibile da qualsiasi più piccolo evento. Le storie di giant-killing sono raccontate in anticipo, per proteggeresti dall’eventualità che sul campo le cose vadano poi diversamente. In questo modo, possiamo goderci tutta la bellezza del “romanzo della FA Cup”, prima che la realtà venga a reclamarne le spoglie. Naturalmente, una volta che tutta la macchina narrativa di stampa, radio e televisione è stata messa in moto per costruire la vicenda, ogni conclusione diversa da quella pre-costruita dai media costituisce una delusione.

Per esempio, la sorpresa più grande, in prospettiva, del terzo turno della Coppa del 2004 sembrava poter essere l’eliminazione del Liverpool da parte dello Yeovil Town, la squadra che detiene il record assoluto di “leagued team scalps”. Vennero evocate tradizioni gloriose e il precedente del 1949; nello studio cominciò il solito business dell’analisi delle possibili conseguenze di un tale miracolo. Mezz’ora prima della partita il Liverpool aveva già perso, Gerard Houiller era già stato esonerato e già si teneva un fervente dibattito su da dove il club avrebbe dovuto ripartire, e su chi l’avrebbe preso in mano. All’intervallo il Liverpool conduce per uno a zero, piuttosto comodamente, ma il giornalista piazzato nel tunnel ha l’ordine di non mollare il fantasma dei giant-killing del passato. Riesce a catturare il manager dello Yeovil per una piccola seduta spiritica, proprio prima del secondo tempo: “C’è un po’ di nebbia, proprio come nel 1949…”, suggerisce allo stupefatto allenatore.

La quasi eliminazione del Forest al terzo turno avvenne, e se ne parlò nei report, tutto qui. Ora i meccanismi dell’attenzione mediatica non permettono alle partite semplicemente di svolgersi: quelle più importanti devono essere avvolte in schemi narrativi già preparati. Le storie sono già lì, in attesa che i fatti vi si conformino. “Ooooh, se la palla fosse entrata sarebbe stato il gol più veloce della storia della Coppa del Mondo!”, “Se Roy Keane avesse segnato proprio nella sua sesta partecipazione alla finale riebbe stata davvero una bella storia, ma anche quella di Andy Marshall non è male, a dire il vero.”

Naturalmente, il gioco non è mai stato avaro di storie da raccontare: ne è stracolmo, e spesso sono proprio quelle a costituire la sua maggiore attrattiva. Nessuno di noi, in effetti, guarda una partita di calcio solo per ammirarne i puri gesti tecnici. Ma ora sono le storie a condurre per mano il gioco, è la costruzione degli eventi a imporci di pensare a essi in un certo modo. La metà dei vecchi professionisti con i quali ho parlato mi ha detto di divertirsi sempre molto a guardare il calcio, ma che lo guarda con l’audio abbassato.

Il Forest andò avanti, batté il Grimsby, il Birmingham, i detentori del Bolton Wanderers e l’Aston Villa, e il clamore del rischio corso nel terzo turno sul campo del Tooting & Mitcham rimpicciolì quietamente negli specchietti retrovisori, turno dopo turno.

FA CUP 3RD ROUND – TOOTING & MITCHAM V NOTTS FOREST

È un libro, tutto sommato — come si può vedere da questi brevi stralci — melanconico, triste, tale da spingere alla nostalgia anche chi quegli anni lì non li ha mai vissuti. Gary Imlach, tifoso dell’Everton (la squadra della quale suo padre era coach quando Gary era abbastanza grande per diventare un tifoso vero, ha ammesso più volte di non essere più tanto appassionato al calcio.

Imlach segue il ciclismo da giornalista, in rete si possono vedere diverse foto sue con Cavendish, e, in una intervista rilasciata qualche anno fa alla BBC, in occasione dell’uscita del libro, ebbe modo di dichiarare la sua poetica, quella che permea, come si è potuto leggere bene anche in queste poche pagine: “forse è stato crescere, forse è stato il vivere all’estero per un po’, forse è stato il cominciare a nutrire altri interessi che portano via un sacco di tempo, sono tutte cose che hanno contribuito alla diminuzione del mio interesse. Però — e qui è necessaria una generalizzazione — è molto più difficile ora per un tifoso immedesimarsi nei giocatori di quanto non lo fosse un tempo, quando i giocatori erano parte integrata della comunità che rappresentavano, e vivevano nella casa accanto a quella di coloro che li venivano a vedere: spesso, anche in Prima divisione, facevano la strada insieme, al ritorno dalla partita. Date tutte queste cose, penso che il mio distacco sia stato inevitabile”.

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Archiviato in 1959 fa cup victory

Sulla ricostruzione della squadra – 2: la situazione attuale.

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Ieri, parlando di Keith Burt, abbiamo visto come il Forest sia riuscito a mettere una toppa alla difficilissima situazione che si era presentata a luglio, quando il Forest era, praticamente, senza un proprietario, e tutti i giocatori in scadenza se ne sono andati: ci siamo trovati con nove giocatori senior, come detto ieri, e nemmeno in grado di schierare una squadra per un’amichevole, a meno di non andare a saccheggiare qualche scuola media di Nottingham, o a meno di non schierare qualche season ticket holder.

Ora, apparentemente, l’emergenza è passata: ma, appunto, solo apparentemente. Approfitto di un’acuta analisi pubblicata ieri da Paul Taylor — uno dei maggiori commentatori delle vicende del Forest, giornalista e blogger per la BBC — sulle colonne del Nottingham Evening Post, per fare il punto sulla situazione del nostro parco giocatori; vedremo, alla fin fine, che a giugno potremmo essere punto e accapo: anzi, la situazione potrebbe essere perfino peggiore di quanto non fosse al termine della passata stagione. Unico e non disprezzabile vantaggio della presente sulla passata stagione, la presenza di una proprietà stabile e apparentemente motivata.

Perché, si chiede Taylor, con la nostra situazione in difesa (Hutchinson fuori ancora per un bel po’, Ayala e Harding in precarie condizioni fisiche a causa di ricorrenti problemi con gli adduttori), O’ Driscoll, oltre che Ward, non ramazza, nell’ultima settimana utile, qualche giocatore sul mercato dei prestiti? Quella che segue è la sua non insensata risposta.

Eppure, nonostante il fatto che i quattro difensori schierati a Leicester lo scorso sabato fossero gli unici disponibili, per stato fisico e stato di forma, il Manager non ha in programma altre acquisizioni in prestito.

A prima vista, questo ritegno sembra del tutto folle. Ma, analizzando la situazione un po’ più in profondità, è una scelta molto più che logica.

Perché, se la tentazione di risolvere problemi di corto termine ricorrendo ai prestiti è molto forte, se il Forest prendesse altri giocatori in prestito per superare queste difficoltà non farebbe che aggravare i potenziali problemi di lungo termine che stanno tramando all’orizzonte.

Quando lo si sente parlare, il modo lento e sommesso nel quale O’Driscoll porge le sue opinioni può anche far dimenticare che quasi tutto quello che dice ha un grande senso.

L’importanza, il vero colore e il vero significato delle cose che egli ha detto da quando è al Forest si rivela solo quando le si scrive, e le si rilegge nere sulla pagina bianca. E, di tutte le sensatissime osservazioni che il Manager ha fatto nelle settimane precedenti, forse la più rilevate è questa: “Siamo pieni di giocatori in prestito, e non vogliamo che diventino troppi”, ha detto.

“È già difficile tenere i giocatori motivati quando sono i tuoi, quando sono sotto pieno contratto. Se sono in prestito e non giocano regolarmente, può diventare un problema immenso per l’ambiente nel quale ci si trova a lavorare”.

La preoccupazione di O’Driscoll non è che i giocatori in prestito non si impegnino, o non mostrino dedizione alla squadra; le prestazioni di Billy Sharp e di Danny Ayala, in particolare, dimostrano il contrario.

Ma avere uno spogliatoio pieno di giocatori in prestito, giocatori che potrebbero non essere più al club la prossima estate, o addirittura che potrebbero non essere più al club a febbraio, non è una ricetta salutare per la stabilità della squadra nel lungo termine, o per cementare l’unità di intenti della squadra. Il Forest ha già sei giocatori in prestito di questo tipo: giocatori senza un’opzione di acquisto, la cui permanenza futura in squadra è sommamente incerta.

I prestiti di Jermaine Jenas, di James Coppinger e di Elliot Ward scadono tutti in gennaio, o prima, e Hutchinson, se non si chiarirà in breve la natura dei suoi problemi di salute, tornerà al Chelsea.

In più, abbiamo altri sette giocatori i cui destini sono sommamente incerti: quelli di nostra proprietà, i cui contratti, però, scadono alla fine della stagione. Il Forest è riuscito recentemente a convincere Chris Cohen a firmare un nuovo contratto, ma rimane una grande incertezza sui destini di Lee Camp, Andy Reid, Radi Majewski, Dex Blackstock, Lewis McGugan e Brendan Moloney [hai detto nulla…].

Camp e Blackstock stanno entrambi negoziando il rinnovo, ma sembrano tutt’altro che vicini a raggiungere una conclusione positiva alle trattative.

Inoltre, il futuro di Marcus Tudgay porta certamente via dal City Ground: si è unito al Barnsley in prestito proprio ieri, in vista di un passaggio permanente ai Tykes.

Matt Derbyshire e Ishmael Miller sono già partiti in prestito, e anche per loro è difficilissimo pensare a un futuro in maglia rossa, anche se, oltre a questo, hanno un altro anno di contratto con il Forest: facendo due calcoli, tolti tutti loro, si vede che i giocatori che, ora come ora, vestiranno certamente la maglia rossa la prossima stagione sono undici. Ben tredici giocatori della squadra, infatti, non si sa se giocheranno nel Forest la prossima stagione.

Per alcuni di essi (soprattutto Sharp, Ayala e Ward) è probabile che il club cerchi di rendere il loro trasferimento permanente, ma gli esiti di questo tentativo sono tutt’altro che scontati.

E sarebbe la riproduzione di una situazione molto grave se alcuni dei giocatori in scadenza se ne andassero via a parametro zero, come già hanno fatto Lynch, Chambers e McCleary quest’estate, e nessuno dei migliori giocatori che abbiamo preso in prestito decidesse di fermarsi al Forest.

Certo, la prospettiva di dividere il proprio destino con il Forest degli Al-Hasawi è più attraente di quanto non fosse quella di rimanere in una squadra destinata a un più che probabile fallimento, ma avere già più della metà dei giocatori senior in cammino su un sentiero pieno di incertezza è un motivo più che sufficiente per giustificare la ritrosia di O’Driscoll nei confronti di ulteriori acquisti a breve termine. Le sue priorità, probabilmente, sono molto differenti.

Date le circostanze; dato il pochissimo tempo che sia la nuova proprietà, sia il nuovo manager hanno avuto per preparare la stagione dopo il loro insediamento, entrambi hanno adempiuto più che bene al compito di metter su una squadra decente, quale che fosse. Con sole quattro settimane a disposizione prima dell’inizio della stagione, il Forest non aveva nemmeno quattro difensori da mettere dietro. Le acquisizioni in prestito quest’estate non sono state una scelta, ma una necessità assoluta.

Ma ora è arrivato il momento di smettere di agire sotto l’impulso della necessità, e gennaio darà l’occasione per cominciare a pensare a soluzioni permanenti. Quest’estate, O’Driscoll trovò un modo per tappare alla bell’e meglio il buco nel secchio ; in gennaio, sarà bene che il Forest cominci a pensare a investire in un secchio nuovo.

Ecco, quando si parla della qualità del lavoro di O’Driscoll, a me sembra che si dimentichi quello che ha fatto in così poco tempo, e il compito immane che aeva davanti: non si trattava di dare un gioco alla squadra, si è trattato di costruirla da zero, assemblando giocatori la maggior parte dei quali, forse, non vede nemmeno nel Forest una prospettiva attraente di vita futura. Dovrebbero pensarci bene, a queste cose, gli imbecillotti che, ogni volta che prendiamo uno sloppy goal, dalla tribuna Brian Clough cominciano a urlare “we want Billy back”.

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Archiviato in stagione 2012-2013, trasferimenti giocatori

Keith Burt, l’uomo che sta ricostruendo il Forest.

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C’è un’eminenza grigia, un “unsung hero” dietro al tentativo degli Al-Hasawi e di O’Driscoll di riportare il Forest ai fasti della Prima divisione. Se ora abbiamo una squadra decente, mentre al momento dell’entrata in carica del nostro nuovo Manager — a quattro settimane dall’inizio della Championship! — non avremmo nemmeno avuto i giocatori per riempire a metà il team-sheet di una squadra dei giardinetti, lo dobbiamo anche all’uomo che ha aiutato SOD a scegliere e a trovare i giocatori. Eravamo rimasti con nove giocatori, dei quali un solo difensore, e l’impresa di ricostruire una compagine decente sembrava del tutto disperata: Lynch, Chambers, Gunter e McCleary avevano salutato il City Ground, e le prospettive del nuovo anno sembravano già agghiaccianti.

Questo, quando si valuta l’operato di O’ Driscoll non viene mai ricordato, ma mettere su una squadra competitiva in sole quattro settimane, partendo praticamente dal nulla, è stata un’operazione di straordinaria difficoltà e, diciamolo, riuscita passabilmente bene.

Ha aiutato il fatto che O’ Driscoll avesse idee molto chiare sul tipo di giocatori di cui aveva bisogno, e aveva anche le idee molto chiare su chi avrebbe potuto aiutarlo a metterle in atto.

Keith Burt, director of recruitment al Nottingham Forest da sette anni, insieme al suo staff di osservatori e consiglieri, ha costruito un database di giocatori davvero sterminato, tipo quello che ha a disposizione un giocatore di Football Manager, e, in questa occasione, è riuscito a usarlo al meglio: all’interno di esso, O’ Driscoll ha potuto scegliere un’intera squadra, praticamente, se guardiamo al numero di nuovi arrivi a Nottingham.

Burt ha rilasciato recentemente un’intervista a BBC Radio Nottingham, nella quale ha svelato qualche retroscena del modo in cui è stata risolta l’emergenza di organico:

Ci ha aiutato molto avere a disposizione così tante informazioni, nel recruitment department, quest’estate. Sapevamo benissimo quali fossero i giocatori dai quali saremmo potuti andare e che avrebbero potuto scegliere di venire, anche con poco tempo a disposizione. L’unico punto interrogativo riguardava il supporto che i nuovi proprietari avrebbero dato alle operazioni che via via immaginavamo, ma loro ci sono venuti incontro tutte le volte che abbiamo espresso il desiderio di andare a prendere un giocatore che ci interessava.

Con così poco tempo a disposizione, potevamo fare affidamento solo al lavoro di scouting pregresso. L’unico punto interrogativo riguardava il supporto che i nuovi proprietari avrebbero dato alle operazioni che via via immaginavamo, ma loro ci sono venuti incontro tutte le volte che abbiamo espresso il desiderio di andare a prendere un giocatore che ci interessava. Davvero, dobbiamo ringraziarli: ogni volta che siamo andati da loro a chiedere qualcosa, si sono messi la mano in tasca e ce l’hanno data.

È “pazienza” la parola-feticcio del dipartimento diretto da Burt: molti dei giocatori che sono arrivati quest’estate erano già da tempo nel mirino della rete di osservatori della società, e O’ Driscoll ha deciso di autorizzare molte di queste operazioni.

Sean vuole giocatori con un buon carattere e facilmente adattabili al tipo di gioco che si pratica in Championship, oltre che buoni giocatori: è per questo che ci siamo rivolti soprattutto al mercato inglese.

Quando Sean è venuto a parlarci di alcuni acquisti che pensava di fare, come Danny Collins, Danny Ayala, Sam Hutchison o Dan Harding, noi potemmo già fornirgli un sacco di informazioni su di loro.

O come Simon Cox: avevamo già cercato di ingaggiarlo tre anni fa, quando era allo Swindon Town, ma il West Bromwich Albion fu più veloce o più bravo di noi. È davvero bellissimo, poi, quando si fanno tante osservazioni e si raccoglie tanto materiale su un giocatore, e poi, all’improvviso, lo si riesce a ingaggiare.

La stessa cosa è successa con Henri Lansbury. È un giocatore che abbiamo seguito per quattro anni, e siamo felicissimi di essere riusciti a prendere un giocatore della sua classe.

Abbiamo battuto anche la concorrenza di club di PL, per aggiudicarci il ragazzo.

Burt è fiero quando tutto il lavoro di osservazione e di raccolta di dati sfocia in un ingaggio, e sceglie appositamente di evitare fonti esterne per scoprire talenti, e preferisce basarsi sull’osservazione personale.

In sette anni, non abbiamo mai ingaggiato un giocatore solo sulla base delle raccomandazioni degli agenti, o solo guardando un DVD prodotto dallo stesso staff del giocatore. Tutti i giocatori che abbiamo preso sono stati visionari a lungo e accuratamente.

Quando finisce una stagione, non finisce per tutti: abbiamo una vacanza di due settimane, ma io la passo sempre girando per i piccoli tornei giovanili che si organizzano in Francia.

Speriamo sempre che non ci sia sfuggito nulla, naturalmente, quando osserviamo un giocatore, ma, in realtà, alla fine c’è sempre qualcosa che non hai studiato accuratamente, o qualche dettaglio che sfugge.

Anche se ora è di nuovo in Championship, e con qualche speranza di organizzare un assalto vincente alla promozione, le vicende del Forest nell’ultimo decennio hanno posto molte sfide importanti allo staff di osservatori.

I tempi dell’ingaggio multimilionario di Stan Collymore, Pierre Van Hooijdonk e di David Johnson sono andati, e la retrocessione in Terza Divisione ha costretto a un altro tipo di approccio.

Garath McCleary è stato un buon esempio della bontà del nostro lavoro: eravamo in League One, quando lo ingaggiammo, e potevamo prendere solo giocatori delle leghe inferiori.

Chris Cohen è un altro giocatore che siamo andati a vedere una dozzina di volte, prima a West Ham e poi a Yeovil, e quando divenne disponibile a un prezzo che più o meno potevamo permetterci potemmo agire in fretta come dovevamo. E guardate che prezioso servitore del nostro club è diventato ora.

Il ruolo di Burt al Forest è cresciuto. Prima era capo scout, andava a osservare e raccomandava i giocatori nel modo tradizionale, proprio al malfamato Acquisition Group criticato così aspramente dal precedente manager Billy Davies; ora come direttore del “reparto di reclutamento”.

Curo ogni aspetto, dall’inizio alla fine, incontro gli agenti, mi metto d’accordo con il prezzo di trasferimento con gli altri club, e cerco in tutte queste fasi di fare il miglior interesse possibile per il Nottingham Forest.

Le trattative possono durare giorni, ma nella maggior parte delle occasioni vanno avanti per settimane: se siamo interessati a un giocatore, o ne vogliamo vendere un altro, è molto probabile che le cose vadano avanti molto per le lunghe. Ci sono un sacco di persone coinvolte nella compravendita di un giocatore, oggi: anni fa, bastava telefonare al manager dell’altro club e tutto si risolveva al massimo in 48 ore. Ora si tratta di settimane, quando va bene, salvo casi eccezionali.

Il football sarà cambiato, da quando Burt ha cominciato a lavorare, ma è e rimane sostanzialmente un entusiasta della scoperta di talenti, e, soprattutto, della possibilità di portarli al Forest.

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Già che ci siamo, una notizia dell’ultima ora: Marcus Tudgay, proprio nell’ultima settimana di apertura del mercato dei prestiti, parte destinazione Barnsley, con un opzione per i Tykes di acquistare il giocatore a gennaio a titolo definitivo. Pare proprio che l’avventura di Tudgay ai Reds sia finita.

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